giovedì 28 aprile 2016

La pedagogia deve contagiare tutti

Martedì sera mi sono trovata di fronte ad una quindicina di persone, genitori dell'oggi e del domani, per presentare un progetto pedagogico in seno all'Associazione culturale "Nuova Pentecoste" di Medolago (BG), di cui sono socia fondatrice. Il progetto è piccolo, accoglie un numero limitato di bambini e ragazzi durante le riunioni della domenica mattina. Io però sono una visionaria e vedo già spazi nuovi, con un'accoglienza ampia e un lavoro educativo che abbracci la partecipazione di genitori, nonni, educatori, artigiani (e chi più ne ha più ne metta), cittadini della comunità più allargata, sette giorni su sette. Perché è così, la pedagogia deve contagiare tutti. E al centro devono starci bambini e ragazzi. In merito a questo ci vediamo martedì prossimo alle 20.30 per continuare a parlarne (pensavo di finire prestissimo, invece c'è bisogno di  un altro incontro: la passione non si può fermare!).

Sono rimasta colpita dalla frustrazione di alcuni nel rendersi conto degli errori fatti nell'educazione dei propri figli. Purtroppo esigenze di vita, realtà quotidiane, stress, difficoltà relazionali in famiglia sono situazioni che spesso impediscono la possibilità di mettere in atto strategie adeguate per una crescita libera dei bambini, capace cioè di liberare il loro potenziale e riconoscere e utilizzare i propri talenti.
Tali carenze sono sicuramente colmate dall'amore reale di questi genitori per i figli, ma porteranno probabilmente ad alcune conseguenze che sarà poi loro dovere gestire.
Ad ogni modo le difficoltà non devono essere atrofizzanti, devono essere nodi che impongono messe in discussione e ricerca di nuove strategie. E' questo il bello del dialogo, del confronto in ambito pedagogico: si scoprono risorse, di pensa da nuove prospettive, si ragiona su alternative valide.  

Dal canto mio, dopo dieci anni nella scuola dell'infanzia, nei nidi e spazi gioco e una visitina molto breve come supplente in una scuola primaria, non posso che portare avanti la mia missione di destrutturazione totale degli schemi mentali dei genitori, convinti che nel delegare la responsabilità ad insegnanti ed educatori stiano facendo sempre la scelta giusta. La missione di rompere gli schemi dell'educazione frontale, impositiva e nozionistica che spesso è l'unica conosciuta dagli adulti. 

Il lavoro del genitore è un lavoro difficile, molto difficile (ne sono così consapevole che all'alba dei miei trentun anni non ho ancora voluto averne), ma in questo travagliato percorso di scelte quotidiane e costante autoeducazione, altro non si desidera che la felicità dei propri bambini e delle proprie bambine. Interrogarsi su questo significa fare in modo che ogni gesto quotidiano possa acquisire un senso volto a tale obiettivo, significa spesso abnegazione e sacrificio, significa riconoscere il bambino come essere bisognoso di guida e di fiducia. 
La solitudine attuale e, ammettiamolo, spesso la pigrizia o la sensazione di avere tutte le competenze necessarie per educare, porta molti genitori a trovarsi chiusi nelle quattro mura di casa nella gestione di schemi educativi e familiari. Le semantiche familiari restano sempre le stesse e si perpetuano all'interno del nucleo familiare, mai messe in discussione da figure esterne, nemmeno dagli insegnanti che, spesso frustrati, tendono a portare avanti il proprio lavoro alla giornata, in un'ottica di sopravvivenza.
Ma se per primi insegnanti ed educatori non sono sognatori, visionari in grado di vedere speranza nel futuro, di leggere nel cuore dei bambini l'unicità di ciascuno di essi, come potrà davvero svilupparsi un senso di felicità diffuso, un pensiero di pace in seno alla società?
Per questo è bello discutere di pedagogia, dirsi le cose per come sono, raccontarsi, esprimere difficoltà e disagi, mettere a frutto creatività, giocosità, immaginazione. Per questo è bello che i genitori possano incontrare gli educatori e incontrarsi tra loro, che possano guardare ai propri errori  non in maniera frustrante, ma come risorse per un cambiamento. Per questo è una gioia immensa per me condividere delle riflessioni, e per questo amo molto l'idea delle scuole parentali (trovate info qui); per tali motivi desidero che momenti simili si moltiplichino. E' l'inizio dell'autoeducazione, l'inizio di una riforma. La scuola per come la conosciamo non ha più senso, il modo di vivere la quotidianità per come lo conosciamo dimentica spesso la felicità dei bambini. Dirselo è il primo passo per cambiare. Bisogna avere il coraggio di andare contro corrente, bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di lottare contro quella parte di noi stessi che rifiuta la fatica, di cambiare direzione. Se avremo questa forza, potremo davvero essere FELICI INSIEME.

venerdì 22 aprile 2016

Una vita piena. Educazione e sacralità.

Ti è mai capitato di sentire dentro quel senso di completa soddisfazione mentre stai svolgendo le tue normali faccende quotidiane o il tuo lavoro?
I bambini possono vivere questo stato di benessere "radicale" e radicato in maniera molto semplice e diretta quando hanno la possibilità di giocare in libertà, quando possono stare in mezzo alla natura, quando viene data loro la possibilità di esplorare, conoscere nel fare, osservare il mondo. 
Spesso negli adulti il sentimento di soddisfazione si limita ad un attimo, a qualche breve lasso di tempo legato a qualche singola azione o qualche ricordo o pensiero per poi ripiombare nell'oblio delle incombenze giornaliere, degli stress, della rabbia, dei bisogni non sempre soddisfatti. No, chiaro, non dico sia per tutti così, dico però che sento sempre più persone esprimere la difficoltà, nella frenesia di questi tempi, di sentirsi perfettamente appagati interiormente.

Cosa dunque porta un bambino che così facilmente riesce a trarre soddisfazione intima dalla vita a perdere questa pienezza durante la crescita? Io credo che, crescendo, si perda la capacità di vedere la sacralità della Creazione, di considerare il dono della vita, di abbracciare con stupore le meraviglie del mondo, di riconoscere se stessi con gratitudine e amore. 


Un bimbo è essere tanto corporeo quanto spirituale e lo è nel modo più semplice che possa esistere. Lo è inconsapevolmente come un adulto non può esserlo. Questa inconsapevolezza rende i bambini e le bambine individui intimamente capaci di relazionarsi con il sacro in senso ampio. La figura di Dio, per esempio, è molto più chiara ad un bambino che ad un adulto, seppur non esplicitata e spesso nemmeno esplicitabile. Un adulto, invece, avendo maturato una completa capacità di pensiero razionale e scontrandosi con le responsabilità quotidiane, si trova a non poter più vivere questa dimensione di gratitudine incondizionata e di spiritualità, tanto che ha bisogno di ritrovarla. La deve cercare
Possiamo noi fare in modo che i bimbi e le bimbe non perdano mai tale dimensione? Che ruolo può avere l'educazione in tutto questo? Ebbene, un'educazione che trasmette passione, creatività, talenti, stupore, meraviglia, bellezza (lo dico sempre) è un'educazione che va in questa direzione. Vedere il bambino come un essere trino, costituito da corpo, anima e spirito come componenti non scindibili, rendersi conto che il contatto corporeo con cose ricche di bellezza porta inevitabilmente ad una passione per l'esistenza che si radicherà nel cuore del piccolo o della piccola attraverso le emozioni e i ricordi, è il primo passo verso una pedagogia consapevole e intrisa di responsabilità. 


Or un educatore che non ha recuperato quel senso di sacralità sarà un educatore probabilmente pieno di competenza, ma con un istinto educativo debole, capace addirittura di smorzare la forza interiore dei bambini e delle bambine che educa.


lunedì 18 aprile 2016

Il coraggio di cambiare

È molto strano come siano tantissime le persone che inneggiano ad un cambiamento del sistema, che urlano al bisogno di rivoluzione. Anche per quanto riguarda il sistema educativo. La questione reale è poi quanti abbiano il coraggio di andare oltre ciò che non è usuale e fare scelte fuori dal coro
So che un discorso del genere potrebbe sembrare di poco senso su questo blog, che appare sempre così soft e privo di esaltazione. In realtà io mi sento una rivoluzionaria, in qualche modo. Credo di esserci nata, così, anche se non l'ho capito finché non sono arrivata a vivere alcune situazioni personali che mi hanno fatto comprendere come il mio ruolo in questo mondo abbia un po' a che fare con il cambiamento. La consapevolezza di ciò è il primo passo verso una nuova consapevolezza sociale. È ovvio che qualcosa di grande non può avere luogo per mezzo di una sola persona isolata, ma è fondamentale che ci sia un sentire comune e diffuso. È dunque bello sentire tanti discorsi relativi a nuovi bisogni e nuove risorse, ma la verità è che le parole non sono sufficienti. Le idee non devono restare tali, devono divenire realtà, devono prendere forma concreta. 



È vero, la scuola necessita di una nuova didattica, di nuovi paradigmi, di nuove attenzioni e nuovi sguardi. Ma quanti educatori, insegnanti, genitori, sono pronti ad investire in qualcosa di diverso, a costo di essere bannati dal sistema? Quanti hanno il coraggio di prendere in mano le certezze dell'abitudine per romperle? Non si parla di violenza, si parla di un pacifico esercizio del proprio pensiero ed il proprio sentire. Significa mettere insieme dei modi di sentire comuni per dare vita a concretezze fatte di nuova creatività. Purtroppo tutto questo vuol dire anche forza di volontà e sacrificio. 
Se non ci facciamo delle domande e non iniziamo a pensare all'uomo ed alla donna in modo olistico, prendendo in considerazione il collegamento tra i vari aspetti del funzionamento del sistema "essere umano", valutando l'esistenza nella sua totalità, non potremo mai dare un senso a tutte le criticità a cui ci troviamo di fronte. Non possiamo criticare il sistema senza capire cosa in esso necessiti di essere cambiato. Non possiamo limitarci a dire che ormai le diagnosi di disturbi psicologici o deficit intellettivi nei bambini sono aumentate troppo o che il carico di lavoro che la scuola pone sulle spalle dei bambini è troppo elevato. Non possiamo nemmeno fermarci nel constatare che il bullismo è in aumento, così come la possibilità degli insegnanti di gestire i bambini di oggi, sempre più "difficili". C'è bisogno di qualcosa di più, di un modo di pensare più radicale, che si trasformi in agire. Bisogna osare. Purtroppo non si può fare altrimenti. È un continuo pensare che si deve trasformare in una quotidianità. 
Lo so, continuo a dirlo, ma questo è lo scopo di quello che scrivo. Scrivo (avete letto il libro, per capire cosa intendo?) per dare un input, ma se le mie parole, insieme a quelle di altri, non trovano terreni dove crescere e portare frutto, ebbene saranno solo belle parole prive senso. Non si tratta solo di dire "wow, bello, interessante!", si tratta di volerne far parte perché si sente il bisogno di cambiamento. La paura è sempre un campanello d'allarme, che ci allontana da eventuali rischi, ma quando si crede davvero in qualcosa, nel profondo del cuore, essa non può che essere soltanto uno strumento che porta ad una riflessione in più per continuare più convinti nella direzione intrapresa. Abbiamo il coraggio di cambiare? Abbiamo il coraggio di pensare e agire? Abbiamo il coraggio di fare qualcosa di nuovo e profondo per le generazioni appena arrivate e per quelle future?

lunedì 11 aprile 2016

Autoeducazione: il potere dell'amore

Non ho figli e a volte mi domando se mai io abbia diritto di dire a dei genitori cosa fare o non fare. In realtà, poi, mi rendo conto di come il mio unico desiderio sia quello di dare spunti di riflessione e mai di giudicare i metodi educativi altrui. Lo ammetto, ci sono alcuni modi di fare con i bambini che ho difficoltà a tollerare, ma  al di là di questo, quello che voglio fare è dare input per un pensiero nuovo in una società che ha molte falle. Non ho il potere di correggere tali falle; non è certo un libro o un blog che possono supplire ai bisogni delle persone (ad ogni modo, se il mio libro dovesse interessarvi, trovate tutte le informazioni qui). Quello che bramo, però, è che ogni essere umano abbia l'opportunità di crescere nella felicità interiore. Non ho bacchette magiche perché ciò avvenga, ma credo nel potere spirituale della parola. "Parola" con l'iniziale minuscola e soprattutto "Parola" con la "P" maiuscola. Ho fede per credere che non a nulla valgono i miei sforzi.
Credo nella possibilità di un risveglio sociale generato dal desiderio di ripensare all'educazione e ai bisogni dei più piccoli partendo dall'autoeducazione.



Vogliamo che i bambini e le bambine siano uomini e donne felici, realizzati, pieni di voglia di vivere. Liberi. Ma non possiamo volerlo senza sapere cosa questo significhi. Educare alla libertà vuol dire prima di tutto essere liberi noi stessi. Non possiamo trasmettere ciò che non abbiamo. 

Dovremmo quindi paralizzarci? No, dobbiamo muoverci verso l'integrità e la nostra libertà interiore, emotiva e spirituale, mentre educhiamo. Non possiamo smettere di educare cercando la nostra perfezione, ma non dobbiamo esimerci dall'autoeducarci per andare nella giusta direzione.
Un educatore che non si fa domande è distruttore del bene di chi educa, ma un educatore completamente imperfetto dotato di autocritica e voglia di crescita e cambiamento può essere fonte di ispirazione per molti bambini. E ciò è possibile solo per mezzo dell'amore.

Dire di amare i propri figli vuol dire essere consapevoli di quale esempio vogliamo essere per loro. Questo comporta uno sforzo immenso nel considerare come ogni nostro singolo gesto quotidiano sia strumento di passaggio di un flusso di informazioni emotive e spirituali grandissimo. Ogni piccola decisione è dotata di valore. Ogni volta che deleghiamo ad un imprecisato domani o ad altri stiamo creando una falla nella costruzione del benessere interiore dei nostri bambini o bambine.
Anche quando un genitore sceglie una scuola o un luogo educativo, egli non deve credere di star delegando, ma deve vivere questo affido temporaneo come una presa di responsabilità fatta di partecipazione e fiducia. Genitori ed educatori/insegnanti devono avere un sentire comune e andare nella medesima direzione. Devono essere in qualche modo presenti con la propria anima anche quando fisicamente non ci sono. Ecco allora che non si sta demandando o scaricando dei compiti, ma si sta faticosamente lavorando in accordo interiore per una felicità diffusa. Questo è il potere dell'amore.