lunedì 22 febbraio 2016

"Vai a sederti a pensare!"

E' qualche giorno che mi frulla per la testa un interrogativo molto specifico di carattere pedagogico.
In realtà avevo già scritto un articolo su Google+ all'interno del quale trovava spazio anche questa riflessione (eccolo), solo che poi mi sono di nuovo capitati discorsi in merito ed ora non posso fare a meno di dire la mia. Sì, perché, mi conoscerete, io sono fatta così: devo sempre dire la mia. E, non sto mentendo, ho aspettato qualche giorno. A dire il vero quello che voglio fare è sollevare una riflessione, più che esprimere un parere. 

Bene, veniamo alla domanda. Ha senso dire ad un bambino piccolo, quando fa qualcosa che non va: "Vai a sederti a pensare"?. Con questa domanda cosa stiamo chiedendo di fare ad un bimbo di due, tre, quattro anni? Quali sono i presupposti di una soluzione educativa di questo tipo?
Risolvere un conflitto educativo così, significa partire dall'idea che un bimbo piccolo, in età prescolare, attui i suoi comportamenti in base ad un radicato schema morale fatto di "giusto e sbagliato", "buono e cattivo", partendo da una chiara consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni sugli altri. Di più: stiamo dicendo che un piccino sia poi in grado di rielaborare in base a questi schemi i suoi comportamenti sbagliati per non riattuarli nel futuro. Ciò è chiaramente esempio del fatto che stiamo credendo che, prima di agire, un bambino rifletta su tutti questi elementi (su cosa sai giusto o meno e su cosa sia buono o meno) e scelga di compiere delle azioni specifiche per creare delle reazioni altrettanto specifiche negli altri in base a questi parametri. In realtà lo schema di azione-reazione è facilissimo da instaurare, è istintivo e diciamo primordiale, però qui non ci stiamo limitando a parlare solo di questo, ma di qualcosa di più profondo che sta radicato nel pensiero.

Quello che ora io mi chiedo è se questi schemi di pensiero non vengano indotti precocemente nel bimbo. Se ci riflettiamo (e qui esprimo un parere, ma mi piacerebbe sentire quello di altri), quando diciamo ad un bimbo piccolo: "Vai a sederti a pensare", gli stiamo implicitamente dicendo: "Vai a sederti a pensare a come sei stato cattivo". Okay, è vero che forse non vogliamo intendere quello, forse ci riferiamo solo ad una riflessione sulle conseguenze del suo comportamento, ma un bimbo come interpreterà davvero questa parola... "pensare"? Un piccolino di tre, quattro anni, sa davvero il senso del termine "pensare"? Non sto dicendo che la testa di un bambino sia vuota, anzi, credo che sia molto ricca, e di mille sfumature meravigliose, ma questo significa che un bimbo sia in grado di razionalizzare la capacità di pensare? Non è che forse un piccino interpreterà tutto questo come: "La maestra (o la mamma) si è arrabbiata, ho fatto una cosa che l'ha fatta arrabbiare, ora mi devo sedere ed essere (o sembrare) triste per riparare"? A questo poi, creato il meccanismo, si aggiungerà: "Son stato cattivo" o, peggio, "Sono cattivo". Ma siamo sicuri che non siamo stati noi a introdurre questa visione della vita basata sul senso di colpa?

Parliamoci chiaro: non sto dicendo che un essere umano non debba avere chiare le polarità di "giusto-sbagliato", "morale-amorale", ma come possiamo pretendere che queste vengano imparate in età precoce, senza che si crei uno schema mentale basato sulla colpa?  
Non sto nemmeno dicendo che un bambino non debba scoprire che i suoi comportamenti hanno delle conseguenze, ma come possiamo pensare che a tre anni un bambino svolga delle azioni per fare deliberatamente del male agli altri e magari un male a lungo termine? 

Dovremmo riflettere su due cose, prima di partire da presupposti del genere. 
Una riguarda il fatto che i bambini sono principalmente imitatori. Se vediamo che un comportamento negativo si ripete, dovremmo domandarci se per caso il bimbo in questione non l'abbia visto da qualche parte, anche sotto forme diverse (non avete notato che da quando esiste Peppa Pig tutti i bambini non fanno che saltare nelle pozzanghere? Il che non è poi male...). 
In secondo luogo, non finirò mai di credere nel fatto che i bambini siano spugne di atmosfere emotive e spirituali e che quindi molto di ciò che fanno sia intriso delle sensazioni che essi percepiscono senza che nessuno se ne renda conto. Ordunque, quale clima respirano i nostri bambini? Che gesti (singoli gesti) stiamo portando loro incontro? Cosa stiamo chiedendo a questi bambini? Di esplorare il mondo e di farlo con tutto il corpo, la mente, lo spirito, le emozioni o di crescere in fretta ed imparare che certe cose sono brutte e altre belle e che saremo giudicati in base a questi parametri?
La religione ci ha portato una visione del mondo di questi tipo, ma Dio, nella figura di Suo Figlio Gesù Cristo ci ha mostrato la grazia e la possibilità di essere amati in modo profondo per ciò che siamo. Ogni comportamento ha una conseguenza, ma è il nostro cuore che va coltivato! Non possiamo portare un bambino a non attuare certi comportamenti perché "altrimenti la maestra o peggio la mamma e il papà diranno che sono cattivo". Questo, nel tempo, si tradurrà nella convinzione di essere cattivo ("La mamma, il papà, la maestra hanno sempre ragione, perché mi fido di loro") e che gli altri vadano giudicati di conseguenza. 
Dobbiamo invece far respirare e mangiare e vivere ai bambini cose belle affinché imparino ad amarle davvero (e dobbiamo prima amarle noi stessi!) e imparino, dal profondo del proprio cuore, ad odiare quelle brutte . 
Ciò non vuol dire che in alcuni casi non serva contenere fisicamente (e qui intendo in termini di spazio, non di reazioni fisiche, ovviamente) un comportamento negativo. Far sedere un bambino agitato, che magari sta creando fastidi o arrecando danno a qualcosa o qualcuno, può avere assolutamente senso, perché significa delimitare il suo spazio temporaneo e rompere un meccanismo che si è andato a creare in quel momento. Ma è importante riflettere su come lo stiamo facendo e soprattutto considerare come spesso sia più facile dire ad un bimbo: "Vai a pensare", piuttosto che ragionare quotidianamente su quale atmosfera, clima, realtà spirituale stiamo noi stessi facendo respirare a quel bimbo. Questo significherebbe metterci in gioco in prima persona e coltivare la nostra interiorità molto più di quello che magari vorremmo fare.
Costa fatica, ma se ho detto qualcosa di sensato, il risultato sarà qualcosa di buono per noi e per i bambini che la Vita ci ha affidato.


martedì 16 febbraio 2016

Andare lontano

È strano come oggi alcune persone, per trovare la felicità, per trovare se stesse, l'ispirazione per la propria vita, debbano lasciare tutto e andare lontano. Molti la chiamerebbero incoscienza o strafottenza, io lo definisco coraggio. Coraggio quando non si sta scappando, ma affrontando nuove sfide per ritrovarsi, quando non si sta andando via per dimostrare delirio di onnipotenza o grandezza, ma desiderio di mettersi alla prova, di farsi piccoli in un Mondo grande
(In qualche modo anche io sono fuggita, fuggita dalla provincia per godere della tranquillità della collina. E posso dire di aver migliorato la mia qualità di vita, ma questo è un altro discorso, che forse un giorno vi farò).





La scoperta, da sempre, ha fatto dell'uomo un essere in continuo divenire. La scoperta crea nel bambino il desiderio di apprendere. E i bambini sono il più grande esempio di naturalezza, di bellezza, di grandezza.


Purtroppo la società occidentale contemporanea è fondata prevalentemente su traguardi imprescindibili che fanno di una persona qualcuno di rispettabile agli sguardi altrui. Tutto quello che non segue questi schemi di successo personale (ho parlato di successo e felicità nel post di ieri, che trovate qui), è spesso disadattamento, intolleranza, scompiglio, rivoluzione, strafottenza o ingratitudine. Per la società, non per davvero! 
In realtà una scelta di vita diversa, alternativa, seppur temporanea, in alcuni casi diventa la strada per sperimentarsi, per capirsi, per guardarsi dentro. È purtroppo quello che la frenesia del giorno d'oggi a volte non da la possibilità di fare. 
La voce di Dio si fa sottile, lontana, la voce del proprio cuore si allontana e il caos diventa la quotidianità. La linea dello spirituale non trova spazio e, mentre lo spirito richiede calma per ascoltare, il corpo non può fermarsi.
Imparare a rallentare, ad osservare, a godere della bellezza del creato può essere fatto ogni giorno. Ma quando ciò non è possibile, purtroppo, c'è chi non può che scegliere di cercare altrove. E qualcuno, così, ce la fa.

lunedì 15 febbraio 2016

Il successo

Ieri, durante la predica del Pastore in chiesa, è sorta nella mia testa una domanda: "Successo vuol dire felicità?". La predica non era inerente all'argomento ma, si sa, spesso gli spunti di riflessione giungono da situazioni non necessariamente correlate.
La risposta non è facile, in fondo tutti sognano una vita di successo e questo pensiero pare generare un senso di benessere generale, che sicuramente può rientrare nella felicità. E sì, non c'è nulla di male a volere successo nelle cose che si fanno, il fallimento non è mai piaciuto a nessuno!

Quello che mi chiedo sul serio è se chi ha successo nella vita è sempre felice. Ovviamente la risposta non può che essere negativa. Ci sono un'infinità di persone di grande successo che vivono vite infelici e questo è un dato di fatto!

Io credo sia possibile fare del successo motivo di felicità solo nel caso in cui si riesca a viverlo come la realizzazione di qualcosa in continuo divenire che è fatto di creatività che si rinnova. 
E soprattutto, successo è felicità solo nel momento in cui lo si percepisce con senso di gratitudine e umiltà. Non è sottovalutazione delle proprie capacità, ma continua voglia di crescere, intellettualmente, emotivamente e spiritualmente
La vita è entusiasmante perché piena di fermento e i traguardi sono sempre temporanei, seppur possano restare nell'esistenza di un essere umano come punti fermi, come luoghi sicuri, posti confortevoli.

I bambini sono un ottimo esempio di come il successo possa generare felicità, ma nello stesso tempo riesca a farlo solo nel caso in cui sviluppi un senso di gratitudine e sia in grado di segnare le basi per ulteriore crescita e ulteriori successi. Quando un bimbo si impegna nel fare qualcosa, ogni insuccesso, se pur vissuto con un pochino di frustrazione, non è motivo di "arrendimento", ma sprono a nuovi tentativi. Allo stesso modo la gioia del successo in un nuovo traguardo, è un semplice incentivo a cercare nuove sfide, che abbiamo come base gli apprendimenti raggiunti.
Ciò non vuol dire che per essere felici sia necessario essere dei gabbiani Jonathan Livingstone, perfezionisti che mirano sempre più in alto e non si accontentano mai di dove sono (che poi, se ben guardiamo, il gabbiano Livingstone godeva appieno dei suoi voli) Anzi! È importante ridere dei propri traguardi, gioire delle proprie scoperte! Ma la chiave sta proprio qui, nel seguire una visione di vita e raggiungerla, nel creare in essa nuove esperienze di crescita, nell'accogliere le esperienze e costruire da esse sguardi creativi verso la vita e le cose!

Ben lungi dall'essere un atteggiamento volto all'inseguimento continuo dell'adrenalina scatenata dal raggiungimento di singoli traguardi (con l'approvazione altrui come cartina tornasole), questo modo di vivere altro non è che gioia di fare, di darsi, di dialogare, di mettere in atto i propri talenti
Il successo non è che la conseguenza, non il fine!

mercoledì 10 febbraio 2016

Aprirsi all'altro. Come bambini.

Da quando ho pubblicato il mio libro e poi ho aperto questo blog, nella mia testa sono cambiate alcune cose.

Vivere solo per se stessi, concentrati sulle proprie idee, sui propri desideri, sui propri interessi, evitando di esporsi all'altro, non permette all'individualità di mettere a frutto tutto il suo potenziale di apertura al mondo. Ciò genera appagamento momentaneo, ma malessere a lungo termine. 
Pur quanto l'ego abbia bisogno di momenti di solitudine e chiusura per produrre nuove energie e per costruire nuove idee e sensazioni, quello che davvero genera felicità è la disposizione verso il resto del mondo
Mettere le mie idee o riflessioni a disposizione di tutti ha realizzato un generale senso di gioia che non dipende dalla quantità di riscontri o consensi ottenuti, quanto dall'attitudine interiore da cui esse derivano.


I bambini sono i migliori maestri in questo atteggiamento di vita in quanto essi, pur essendo tanto legati al proprio egocentrismo (necessario alla costruzione di una consapevolezza di sé) sanno aprirsi al mondo e all'altro in modo del tutto naturale e senza remore. Proprio questo permette in loro lo sviluppo di apprendimenti così veloci. Se ci pensiamo, ogni cosa che un bimbo impara in pochi anni di vita, necessita di molta più energia e impegno, in relazione alle capacità preesistenti, della maggior parte delle conoscenze o abilità conquistate da un adulto (pensiamo solamente all'imparare a camminare o a parlare, per esempio).
Tale è il motivo per cui dobbiamo essere molto attenti al modo in cui ci poniamo di fronte ad un bimbo: il suo darsi a noi e a tutto ciò che lo circonda sarà così totale da richiederci necessariamente di divenire esempi degni di questa fiducia. Egli accoglierà totalmente ciò che siamo e imparerà imitando. E, in questo, darà sempre il meglio di sé!




Inibire i sentimenti positivi di amore e fiducia che ci fanno donare noi stessi all'altro è causa di sentimenti o atteggiamenti di vita negativi quali paura, tristezza, aridità, diffidenza, depressione, negatività, ipocondria...

Aprirsi è una necessità di vita, donarsi è un sintomo di sicurezza interiore. 
Ci vuole coraggio, ma il premio per questo coraggio è un pezzetto di felicità in più.

martedì 9 febbraio 2016

Libertà, felicità, "Io" e fede

La vera felicità nasce dalla libertà. 
Non tanto da una libertà corporea e fisica, perché una tale libertà può semplicemente essere un surrogato di qualcosa di più reale e profondo che è libertà interiore e spirituale.

Avere idee ben precise e credere in qualcosa di definito può significare inserirsi in canoni e liturgie quotidiane che inquadrano la vita personale e mentale rendendola schematica e schiava di inscatolamenti dai quali non si è in grado di uscire, oppure può voler dire avere scelto di seguire dei percorsi di vita ben chiari all'interno dei quali essere se stessi in modo libero e aperto.
Quest'ultimo atteggiamento verso la vita è possibile solo attraverso lo sviluppo di un'autostima solida, che permetta all'individuo di fare costantemente dell'autocritica senza perdere coscienza e consapevolezza di sé e di affrontare situazioni difficili, problematiche o frustranti con la certezza di poterne uscire con un "Io" ricostruito.
Non parlo in termini di psicologia (non avendone le competenze necessarie) ma esprimendo una semplice logica, generata da esperienze personali.


Ora, un bambino al quale non si insegna ad essere autonomo mentalmente non potrà essere un adulto libero. Questo non significa affatto far prendere ai piccini decisioni che spettano al genitore. Chiedere per esempio ad un bambino piccolo cosa vuole mangiare o indossare è caricarlo di responsibilità sulla propria cura o sulla propria vita che vanno ben oltre le sue competenze e i suoi diritti. Come possiamo dunque creare libertà di pensiero senza iperesponsabilizzare
Un buono strumento sta nell'esplorazione e nel gioco libero, oltre che nella conquista guidata di autonomie legate all'età (in merito a questi argomenti ci vorrebbe un post dedicato, perché si tratta di un ambito ampio e ricco di spunti). 




Dunque, se accelerare tempi è denaturalizzare un individuo, soprattutto se in età evolutiva, iperproteggere è creare blocchi emotivi e fisici che in età adulta saranno causa di difficoltà nel trovare una collocazione personale e unica nella propria esistenza. 

Ora, ritrovarsi adulti privi individualità e libertà mentale e spirituale significa necessitare di schemi esterni per potersi sentire temporaneamente sicuri. Ma tale sicurezza, seppur impregnata di buoni intenti, spesso fortemente legati alla religiosità, non genera né libertà né felicità (perché le due cose, come già detto, sono secondo me fortemente legate). Questo è uno dei motivi per cui la fede non può essere relegata a mera religione, in quanto mentre quest'ultima è in brado di generare solo liturgia e schemi esteriori che imbrigliano, la prima genera una ricerca di Verità che può far giungere ad una reale conoscenza di se stessi e del proprio scopo di vita, per una reale felicità come creature di Dio.

domenica 7 febbraio 2016

Talenti e creatività

Ieri leggevo un articolo molto critico sulla scuola e relativo in particolare alle problematiche dei bambini di oggi e alle domande sulle loro cause (lo potete trovare qui), argomentazioni queste che è molto tempo che mi stanno a cuore e di cui sicuramente tratterò in un post futuro (intanto potete leggere una mia esperienza personale qui).
L'articolo in questione mi ha molto colpito perché ha riacceso una riflessione che se ne stava mezza latente nella mia testa (e nel mio cuore, dato che mi piace tenerlo sempre ben collegato alla ragione), ma che non trovava l'ispirazione giusta per saltare fuori in tutta la sua potenza. 


Il discorso era relativo ai talenti. 


Ebbene sì, è importante considerare come ciascun bambino abbia dei talenti propri da portare come bagaglio interiore da quando il suo spirito viene soffiato nel suo corpo. Tali talenti non sono sempre e subito manifesti, ma spesso hanno bisogno del sostegno dell'adulto per trovare un terreno fertile adatto alla loro crescita.
Tale terreno è coltivabile solo ed esclusivamente in situazioni prive di frustrazione interiore (e non parlo di frustrazioni momentanee, che in giuste dosi sono educativamente utili per la crescita, ma di un atteggiamento di frustrazione generalizzata dell'anima). E' un terreno che deve essere preparato e accudito in situazioni ricche di entusiasmo reale, voglia di costruire e positività.
 
Troppi adulti di oggi sono stati bambini non capiti nei propri talenti, nelle proprie predisposizioni interiori o non addirittura in grado di capirli da se stessi. Questa non è affatto una colpa  personale, ma il risultato di un'educazione chiusa in cliché e aspettative lontane dalla realtà e soprattutto da una reale empatia.
Un genitore, un educatore, un insegnante devono creare un clima di vera accoglienza del bambino come altro da sé e come individuo speciale e diverso da chiunque e farlo attraverso un allontanamento dalla standardizzazione di comportamenti in nome di un rigido metodo educativo.


L'apertura e l'ascolto reale dell'altro intriso di sensibilità sono le basi di un'educazione che fa crescere in maniera feconda i talenti altrui.
Nel bambino non è sempre facile riconoscere tali talenti e spesso si può velocemente scadere nell'indirizzare troppo precocemente un bimbo verso una o un'altra direzione.Tale rischio, però, non deve portare ad una cecità di fronte a ciò che il piccolo porta incontro a noi adulti quali responsabili della sua crescita.


Molto della felicità di un adulto dipende da quanto egli è in grado di riconoscere i propri doni speciali e di metterli a frutto nella vita in modo creativo. 
Perché un talento è di per sé creatività
Inoltre va considerato come i bambini di oggi siano spesso frustrati, ribelli o depressi proprio perché non riconosciuti e non sostenuti in tal senso.


Vogliamo un mondo dove ciascuno si collochi nel posto giusto in un modo ricco di entusiasmo! O no?

giovedì 4 febbraio 2016

Perché vale la pena provare

Non è che io mi sia svegliata una mattina e abbia sviluppato tutte 'ste teorie astruse e mi sia messa in cerca di seguaci per avvalorarle. No, non funziona così.

Finita l'università ho cominciato a entrare nel circuito degli asili nido e delle scuole materne e di altri servizi per l'infanzia, dalla parte della più umile delle professioni (in Italia, perché ho conosciuto persone residenti in Svizzera che quando hanno saputo che facevo l'educatrice mi hanno quasi acclamata come un'eroina).
Poi, anche se non mi era ancora chiaro quello che avrei fatto nella vita, nonostante fossi partita in quarta con un sacco di idee, idee che mano a mano andavano disgregandosi (e ora stanno riprendendo forma sotto luci diverse e ancora più entusiasmanti), ho deciso di seguire i corsi di Consulenza Cristiana di primo e secondo livello, organizzati da L'Arca Teen Challenge, associazione di cui potete trovare informazioni qui.
Tutto questo successe qualche anno fa, ma ora i tasselli cominciano ad unirsi tutti in un quadro sempre più chiaro.
Ebbene sì, anche il mio contatto con cani e cavalli acquisisce un senso sempre più unitario.



Tutto ha avuto inizio con un insieme di appunti su foglietti sparsi, presi in silenzio a seguito di folgorazioni mentali derivate da una mancata condivisione dei metodi educativi utilizzati nella scuola in cui stavo lavorando come assistente educatore, dopo che una maestra di sezione, oggi mia amica e compagna di dialoghi pedagogici e non (persona vocata all'insegnamento e di grandissima sensibilità) aveva lasciato il posto per disperazione. Rabbrividendo e sognando un mondo migliore ho sviluppato un progetto educativo per bambini da 0 a 12 anni, progetto che non ha mai preso realmente forma, ma che sarà sicuramente integrato nei miei progetti futuri.
Non sarebbe stato possibile intraprendere un percorso personale (che spero prenderà vita molto presto, ma i tempi stanno in Cielo più che in Terra) senza prima entrare in contatto con la pedagogia Waldorf. Giunta al mio attuale ambito lavorativo, in un asilo ad indirizzo steineriano, prima come maestra-assistente, ora come educatrice di spazio giochi, ho avuto la gioia di scoprire che esistono pedagogie che si occupano dello spirito. Che poi Steiner sia diventato un guru preso alla lettera in toto e in grado di oscurare, in molti casi, qualsiasi altro pensiero interessante, anche quello biblico in senso puro, è un altro discorso in cui adesso non intendo entrare. Ad ogni modo è stato illuminante trovare alcune assonanze con il mio modo di vedere il bambino e l'educazione infantile e comprendere che sono molti gli adulti alla ricerca di una pedagogia attenta all'uomo in senso completo, attenta al suo corpo, alla sua anima, al suo spirito.

Vi racconto tutto questo perché la mia consapevolezza attuale di quello che desidero è legata fortemente ad ogni singola esperienza che ho fatto e sto facendo.
Ora, sono consapevole della difficoltà nel trasformare in realtà dei sogni fortemente radicati in me, ma un giorno, alzandomi dal letto mi sono detta: "Perché non provarci?". E' proprio così che ho iniziato a scrivere un libro, anche se poi per trovare il coraggio di pubblicarlo ci sono voluti due anni pieni. E' per questo motivo che ho deciso di aprire il blog. E non mi fermerò qui.

Perché no? Voglio dire, se anche pensassi di non trovare consenso, di non trovare alcun appoggio in quello che faccio, perché questo dovrebbe impedirmi a priori di provare? Se credo davvero in quello che penso, se davvero la mia felicità sta nel condividere quello in cui credo e permettere ad altri di entravi in sintonia, se voglio davvero che le persone siano felici, se desidero sul serio che si crei una comunità di individui che credono in un progetto e mi vogliono sostenere nel portarlo avanti, perché non tentare? Non importa quanto ci vorrà, ma quando nel cuore di qualcuno bruciano idee e fermentano storie che vanno ben al di là della soddisfazione e del successo personale (che, per carità, ci sta anche!) e abbracciano il proprio scopo nella vita, non c'è motivo per soffocarle. Bisogna lasciare che i tempi siano fecondi, che le situazioni si aprano, che si possa apprendere di più e avere più elementi a disposizione affinché i propri progetti abbiano una forma piena, ma questo non vuol dire che non si debba provare!

Se hai rinunciato prima di cominciare, recupera audacia e combatti. Sei stato creato con uno scopo e non lo troverai, se non provi! Se ti muoverai in linea con il tuo scopo non potrai che avere successo!



Qualunque cosa tu possa fare,
qualunque cosa tu possa sognare,
comincia.

L'audacia reca in sé genialità, magia e forza.

Comincia ora.

(Johann Wolfgang Goethe)

mercoledì 3 febbraio 2016

Autoeducarsi per educare. Alla felicità.

Nel mio libro "L'anima dei bambini" (se vi interessa potete trovarlo qui e nelle altre principali librerie online), ho inserito un capitolo intitolato "IN OGNI SINGOLO GESTO".
Ne lascio uno stralcio per introdurre un pensiero che spero potrà esservi utile. Come genitori, se lo siete, ma anche e soprattutto come persone.

Ogni singolo gesto si imprime nel bambino come un segno che, se nel futuro non si manifesterà come ricordo nitido, si risveglierà come sensazione, come dejavù, come emozione in esperienze che probabilmente non avranno strettamente a che fare con il gesto stesso.
Quando dico “ogni singolo gesto”, intendo dire proprio quello che le parole esprimono, seppur possa apparire un’affermazione esagerata. I gesti esprimono quello che siamo e questa teoria ha ancora più valore se prendiamo in considerazione i gesti abituali, quelli che ci caratterizzano e ci fanno essere come gli altri ci vedono.
Sono dell’idea che i bambini vedano al di là di quello che vediamo noi adulti. Non dico “vedere” intendendo esclusivamente il senso della vista, quanto invece dico “vedere” nel senso già precedentemente spiegato, comprendendo tutti gli elementi corporei che ci mettono a contatto con il mondo. Quello che il corpo registra nella mente, viene stampato nell’anima, come emozione e ricordo e ha un ruolo fondamentale per quello che il bambino sarà nel futuro.
Auto-educarsi significa quindi lavorare su se stessi affinché i propri gesti siano conformi ad un’immagine positiva, che andrà a collocarsi nell’anima del bimbo e si ripercuoterà sul suo stato d’animo e sulle scelte che farà.

Ora ti chiedo: esprimi felicità nei tuoi gesti? Intendo felicità profonda. 

Se vogliamo creare benessere intorno a noi, dobbiamo sviluppare benessere in noi stessi. Come adulti abbiamo la responsabilità di trasmettere positività nelle nostre famiglie, soprattutto con i figli (se ne abbiamo), ma abbiamo anche e soprattutto la stessa responsabilità verso noi stessi. Non possiamo amare qualcuno se prima non ci amiamo
Le scelte che facciamo determinano cosa diventeremo ed è per questo che collocare nell'anima di un bambino immagini positive, sensazioni di gioia e pienezza, gli permetterà di fare scelte nella direzione della propria felicità. Un bambino che respira bellezza, passione per la vita, pienezza spirituale, allegria interiore, sarà un adulto in grado di trovare il suo scopo e, quindi, di essere felice.

Il benessere di cui parlo è un benessere totale, fisico, emotivo e spirituale. Se siamo esseri composti da anima, corpo e spirito, dobbiamo fare in modo che i tre elementi di cui siamo fatti trovino il loro equilibrio. Quello di cui non ci rendiamo conto è che i bambini riescono a percepire la consapevolezza che abbiamo di noi stessi in maniera molto diretta, assorbendo intanto tutto ciò che percepiscono. Questo è il motivo per cui ogni singolo gesto ha un valore inestimabile, sia in senso positivo che in senso negativo.

Ora, restando nell'astratto, il discorso può apparire una semplice disquisizione filosofica senza valore, ma nella quotidianità quello che è necessario chiedersi è: trasmetto passione, bellezza, felicità e pienezza alle persone che mi stanno intorno, ai miei familiari, ai miei figli? In sintesi: sono profondamente felice? Rispondere con sincerità a questo quesito è il primo passo per autoeducarsi. E per educare alla felicità.


Siamo stati creati per trovare un posto su questa Terra. E' nostro compito lasciarci guidare per farlo.

martedì 2 febbraio 2016

PresentiAMOci

Suppongo che, una volta aperto un blog, sia necessario presentarsi.
Ebbene, eccomi, non sono brava nelle presentazioni, ma ci proviamo.

Mi chiamo Alessandra Spinelli, ho trentuno anni (mica non si chiedeva l'età alle signore?), abito sulle colline bergamasche e faccio un milione di cose, anche se in realtà qualcuno potrebbe obiettare dicendo che non faccio un bel niente.
Credo in Dio e questo è un paletto fondamentale, perché tutto ciò che penso scaturisce da questo fondamento.
Laureata a pieni voti (non lo dico per vantarmi, ma per avere un pochino di credibilità in più) in Scienze dell'educazione, sono educatrice di prima infanzia e pure appassionata cinofila con un buon numero di cani che fanno parte della mia vita. Tutti Bull Terrier Miniatura (alcuni dei quali nati qui), tranne uno, che è un bellissimo (cuore di "mamma") Australian Cattle Dog.
Creativa quanto basta, affascinata dall'Arte in genere, mi stupisco e commuovo di continuo di fronte alla bellezza della natura. Un connubio di caratteristiche, queste, che mi hanno portata non solo ad appassionarmi all'equitazione (con risultati non eccellenti, ma con una buona dose di impegno, anche nei lavori "sporchi", quelli di stalla, per intenderci) e all'etologia equina, ma pure a portare di continuo spunti naturali all'interno di casa, con tocchi d'arredo del tutto personali.
Non finisco mai di pensare, di inventare nuove creazioni, di viaggiare con la mente, di immaginare mondi nuovi e cose da fare.


Un giorno mi sono svegliata con il chiodo fisso di aprire un blog. Considerato il guazzabuglio continuo di idee nella mia testa, ho desistito per un po', consapevole del fatto che senza fare chiarezza sulle argomentazioni da trattare e sui temi specifici, non sarei arrivata a raggiungere più di uno, due lettori, magari amici impietositi dalla mia insistenza a stare sul web e a dover esprimere opinioni opinabili.
Oggi l'evento mondiale: eccomi qui. Non che il guazzabuglio sia perfettamente sbrogliato, non che dalla matassa si sia creato un gomitolo perfettamente arrotolato, ma devo dire che ci siamo. So da dove partire.

Partiamo, dunque.

Un punto fermo nella mia testa è l'idea che per vivere pienamente un individuo deve trovare la felicità. E cosa sarebbe la felicità se non raggiungere il proprio scopo nella vita? Sì, che siate creazionisti o no, credo che nessuno di voi si riesca ad accontentare di vivere alla giornata senza sentirsi parte di un Tutto. C'è un'aspirazione nel cuore di ciascun individuo (quello che si potrebbe chiamare "un vuoto a forma di Dio") che lo spinge a trovare la giusta collocazione nella sua esistenza, dandosi obiettivi a breve e a lungo termine. Non c'è persona che non si senta spinta in una qualche direzione che sia affine al suo modo di essere, al suo saper fare, al suo modo di pensare. Ebbene, l'emblema della felicità sta nell'andare verso quella direzione. Per farlo è necessario saper leggere dentro di sé, riconoscere i propri talenti, le proprie predisposizioni, le proprie capacità e i propri limiti. E poi pensare in grande cominciando dal piccolo, come dice sempre una persona a me cara.
Vivendo una vita piena di gratitudine e stupore in OGNI SINGOLO GESTO.

Ordunque io credo che la mia felicità stia nell'aiutare gli altri a trovare la propria
No, no, non sono qui come una missionaria in cerca di anime pietose e nemmeno come guru internazionale che vuole accaparrarsi degli adepti. Sono qui con delle idee da condividere.

La società di oggi non ci spinge a domandarci cosa ci può rendere felici. La società di oggi ci impone dei modelli da rispettare, degli schemi da seguire che ci rendano normali e soprattutto ci diano una stabilità economica. 
Si parte dall'infanzia a creare uomini che rispettino tale schemi, non portando mai i bambini nella condizione di domandarsi: "Chi sono? Qual è il mio scopo nella vita e come posso perseguirlo?". Forse ci sono bambini che da adulti saranno felici facendo professioni del tutto rispettabili e remunerative, ma ce ne potrebbero essere altri che avranno bisogno di inventarsi mondi propri, propri modi di vivere che non sono quelli tipici della società di oggi. 
Credo che possa esistere una nuova pedagogia che parta da questi presupposti. Credo che, dove questa pedagogia non è esistita, ci sia sempre tempo per ricominciare, anche da adulti.

Dunque, di cosa parlerò in questo blog? 
Parlerò di una pedagogia che sappia sviluppare stupore e gratitudine attraverso OGNI SINGOLO GESTO, che sappia creare domande e passione per la vita, per formare uomini pieni di sogni da realizzare.
Parlerò di arte (perché l'arte sta al centro della bellezza e dello stupore) e di natura, in nome di un contatto con la Vita più intimo e viscerale e meno virtuale e mediato.
Parlerò di felicità e dei miei progetti per realizzare il mio scopo di vita.

A te che leggi: spero troverai spunti interessanti per la tua vita e, se avrai bisogno di parlare con me, potrai contattarmi con serenità. Puoi già farlo a dire il vero, se ti ho trasmesso un po' di fiducia o curiosità. Ti concedo, comunque, qualche post prima che tu possa crearti un giudizio su di me e sul mio modo di vedere le cose.