A volte sembra che non prendiamo sul serio i sogni dei ragazzi, perché ci sembrano folli e lontani dalla realtà. Delle volte, invece, son loro che ci raccontano un po' di quello che vorremmo sentirci dire o che la società ritiene rispettabile. Ma la cosa peggiore accade quando i ragazzi stessi credono alle baggianate che sono state infilate nelle loro teste, lentamente e subdolamente. E il dramma maggiore sta nel fatto che molto spesso i grandi non se ne accorgono.
Ieri sera sono riuscita, finalmente, a vedere "Il Piccolo Principe", film d'animazione che trae spunto dall'omonimo libro. Certo, il testo scritto, data la sua bellezza, non potrà mai essere paragonabile a qualunque film che ne parli, anche se in questo ho trovato le immagini relative ai ricordi dell'aviatore molto fedeli all'atmosfera che il libro mi ha sempre trasmesso.
"Il Piccolo Principe" è un testo che andrebbe riletto nelle varie fasi della vita, perché è uno dei pochi libri "profani" che sanno accoglierti e sconvolgerti, svuotarti e riempirti, entrarti dentro e restarci.
Perché parlo di questo? Perché il film, come il libro, altro non è che una metafora della vita contemporanea. Per certi versi la versione cinematografica è forse un po' schematica, ma come riuscire ad essere davvero comprensibili e fruibili senza giocare sugli opposti? Si tratta di una finestra sul mondo, sul mondo degli adulti e quello dei bambini, sulle scelte esistenziali, sulla scelta di essere se stessi, con le proprie sfumature, coi colori, a costo di rischiare.
È una finestra sulla vita e sulla morte, sui sogni, sulle aspettative, sui rischi, sulla complicità di anime che si incontrano intimamente. L'immagine del soffio della vita che scorre, del disordine della bellezza, delle prospettive di sguardi che si accavallano, della lotta all'omologazione.
È un grande cuore che abbraccia tutti coloro che amano stupirsi e appassionarsi, tutti quelli che non si lasciano appiattire dalle cose sbagliate, dai giudizi, dagli stereotipi, dai limiti che la vita terrena cerca di imporci. Perché questa scorza, che è il nostro corpo, ci limita all'apparenza di ciò che vediamo, ma l'essenziale, lo sappiamo, è invisibile agli occhi.
Ogni singolo gesto
Si comincia da bambini ad essere felici. Ma si è sempre in tempo per riuscirci.
giovedì 20 aprile 2017
Il Piccolo Principe
mercoledì 22 marzo 2017
Un sogno, il mio
Ecco cosa vedo: vedo un luogo immerso nel verde, pieno di prati e alberi, delle stalle con cavalli e altri animali, annessi e connessi per il lavoro, una zona dedicata ai cani e alle attività cinofile, una piccola casa o una yurta per me, un locale di culto e una yurta per le attività educative.
E bambini. Bambini che sorridano, che facciano baccano, che godano di tutto questo per essere se stessi. Ed essere felici.
domenica 29 gennaio 2017
Il barattolo della calma
mercoledì 4 gennaio 2017
Il fallimento dell'educazione
Abbiamo fallito. Abbiamo fallito come genitori, abbiamo fallito come educatori e come insegnanti. Non posso accettare che un ragazzino di 11 anni scoppi in lacrime di fronte ai miei occhi dicendo: "Io sono stupido. Sono nato per rompere". Non posso accettare che ragazzi di undici, dodici anni mi dicano che da grandi vogliono fare i mantenuti. E non posso nemmeno lasciar stare il fatto che non sappiano più rispettare l'autorità, che sentano la necessità di ribellarsi continuamente, di fare gli anarchici. Lo sappiamo tutti che bambini e ragazzi hanno bisogno di regole per essere condotti nella direzione giusta, verso una formazione stabile e integra della propria personalità. Ma allora perché i giovanissimi di oggi non sanno più rispettare le autorità? Perché si ribellano continuamente?
Abbiamo dimenticato di essere dei buoni leader per i più piccoli. Vogliamo che le loro personalità si forgino in relazione alle nostre aspettative e se tali aspettative non vengono soddisfatte diventiamo dispotici o non curanti. Pretendiamo oppure abbandoniamo i ragazzi a loro stessi. Se crediamo che abbiano molto di più da dare li pressiamo con richieste, anche implicite, chiediamo degli standard e dei risultati di un certo livello. Insegniamo loro a competere. A competere con gli altri, con i fratelli o le sorelle maggiori, con i compagni o compagne di classe, a competere pure con noi stessi. "Puoi fare di più, devi fare di più!". E loro ci provano, continuano a provarci finché iniziano a ribellarsi, a leggere sempre meglio le nostre incongruenze e ad odiarle. E ad odiare l'autorità in genere, tutta.
Nel caso in cui pensiamo di non poterci aspettare granché, invece, beh abbiamo il coraggio di emarginare, di non prendere in considerazione, di chiedere il minimo indispensabile. E a volte nemmeno quello. È sufficiente che il bambino o la bambina, il ragazzo o la ragazza, restino nei canoni della decenza, che non ci facciano fare brutte figure e questo è sufficiente. D'altra parte che speranze potremmo nutrire?
Ma ci siamo mai resi conto che alla base di tutto questo altro non c'è che un'assoluta mancanza di ascolto e riconoscimento dell'individualità del bambino, dei suoi talenti, delle sue predisposizioni? Come possiamo aspettarci rispetto se non sappiamo rispettare? Ogni uomo, ogni individuo è stato creato con in sé qualcosa di unico e speciale, doni tutti suoi che non sono uguali a quelli di nessun altro. Se riconosciamo questo, se lo rispettiamo, se non permettiamo a nessuno (nemmeno a noi stessi) di deridere queste unicità, allora saremo leader degni di rispetto.
Mai accetterò che un bambino pensi di non essere unico, mai accetterò che pensi di non aver nulla di interessante da mettere nel mondo. Se a undici dodici anni l'io di un ragazzo o una ragazza non è formato, se non c'è speranza per il domani, fiducia nelle proprie possibilità, entusiasmo di fare e costruire, come sarà possibile entrare in quel turbine che è l'adolescenza e uscirne vivi interiormente? Facciamoci delle domande, perché abbiamo fallito e rischiamo che sia troppo tardi per tornare indietro.
giovedì 3 novembre 2016
Verso la sostanza
Pensiamo che per essere bravi educatori, genitori o insegnanti, dobbiamo indottrinare, imprimere nella mente di bambini e ragazzi delle nozioni ben precise, dei valori esplicitati in regole ben verbalizzate, una cultura fatta di successioni mnemoniche di fatti e formule. Così i bambini (i più "bravi") sanno tutto e si comportano come devono.
Qual è il problema in tutto questo? Il problema è che i veri bisogni dell'uomo sono l'essere nutrito (nel corpo, nell'anima e nello spirito) con la vicinanza, l'amore, la bellezza e autoaffermarsi come Io unico e irripetibile, autoriconoscersi e posizionarsi in pienezza nel mondo. Ora se noi guardiamo al futuro, alla società e alle regole che essa impone non possiamo che volerci affrettare nel metodo educativo e didattico con cui ho aperto il post. In questo modo pare che la collocazione di ciascun bambino e bambina nel mondo sia avviata e sicura. Ma così facendo non ci domandiamo affatto come tale collocazione possa avvenire nel pieno rispetto dell'interiorità del bambino e della bambina stessi, anzi in modo che essa sia davvero stimolata a crescere e a venire espressa all'esterno in piena libertà e consapevolezza.
Insegnare delle lezioni è e deve essere una minima parte del lavoro dell'educatore, spesso nemmeno parte visibile. Prima di tutto vanno gettate le basi per una consapevolezza di se stessi, del mondo fuori, di ciò che di bello può esserci, per stupirsene ed esserne grati. Una scuola che non è in grado di fare ciò è una scuola morta, che stimola solo una memoria cerebrale scollegata dalla memoria animica. Ma se queste due memorie non si legano assieme attraverso l'esperienza e per mezzo di un'arte dell'educazione fatta di talenti, nulla potrà far presagire un futuro migliore. Avremo uomini frustrati e ancor prima bambini arrabbiati, che odiano l'istituzione scolatica e, di conseguenza, il sapere che ad essa collegano.
Bisogna uscire dai banchi, uscire dalle mura, uscire dai vecchi schemi. Solo genitori coraggiosi saranno in grado di prendere decisioni così difficili e importanti, oltre il prodotto e verso la sostanza più vera.