mercoledì 4 maggio 2016

La forza creatrice della parola

Un giorno di tantissimi anni fa, credo nel lontano 1995, arrivò nella nostra scuola Roberto Piumini, per me, personalmente, una sorta di essere mitologico nascosto sotto sembianze umane.
Con sguardo incantato e trepidante interesse rimasi ad ascoltare i suoi racconti e partecipai al suo laboratorio di scrittura creativa. Credo che proprio in quell'occasione rimasi colpita e meravigliata dalla tecnica del "cut-up" (potete approfondire qui). Rimasi per giorni a ricopiare poesie, pescarne pezzi e ricomporre nuovi versi. La straordinarietà del tutto stava nel senso che ogni volta, anche pescando e componendo a caso, i nuovi testi riuscivano ad acquisire, pur spesso senza nessi logici espliciti o congiunzioni o soggetti e verbi coniugati.

Il potere creativo della parola. Probabilmente nessuno ci avrebbe creduto, ieri, presso la nostra associazione, se non avesse provato con mano. Ho voluto tentare l'esperimento: non mi piaceva l'idea di parlare semplicemente della capacità di creare insita nella parola, quindi ho voluto dimostrarne la forza nella sua concretezza. Così, dopo aver ragionato un po' sulla potenza di ciò che si dice, sul valore caratterizzante del nome proprio e l'importanza dell'attenzione al linguaggio che viene rivolto a bambini e bambine, ho letto alcune poesie scelte di autori vari (ovviamente una di Piumini), poi ho fatto girare un cestino contenente le stesse poesie tagliate in versi. Ciascuno, a turno, ha pescato versi a caso fino a che, dopo alcuni giri di mano in mano, il cesto non  è stato vuotato. Con i bigliettini pescati, ognuno ha composto una nuova poesia. Certi hanno scelto di incollare i versi nella sequenza casuale con cui li avevano pescati, altri, restii a rimanere in balia della totale casualità, hanno composto il testo con una propria logica, ovviamente mantenendo i versi intatti, come da mia indicazione.
Vi direte: e quindi? Ebbene, la commozione (di alcuni anche esplicitata) è stata quella di leggere ad alta voce la propria composizione e trovarla in perfetta sintonia con se stesso o con un periodo della propria vita. Io personalmente ho trattenuto qualche lacrima, ma, si sa, sono ipersensibile e piango facilmente!
Ad ogni modo nessuno di noi credeva nel caso e tanto meno ci crede ora, dopo aver toccato con mano la forza creatrice che vi è nel linguaggio ed in particolare nella parola! Posso assicurarvi che la scelta delle poesie era stata casuale, non legata ad un filo conduttore unico, ho scelto solo alcuni argomenti quali Dio, l'amore, la vita, la poesia, la morte, l'acqua, ma in maniera molto generica e senza confronto tra un testo e l'altro.



Vi sfido a provarci e poi a tornare qui, così, per confrontarci su questo strepitoso e misterioso argomento quale la potenza della parola. 

Intanto vi lascio con una riflessione, che dedico però soprattutto ai creazionisti: "Non è forse la creazione, l'espressione più gloriosa della forza della Parola?".


giovedì 28 aprile 2016

La pedagogia deve contagiare tutti

Martedì sera mi sono trovata di fronte ad una quindicina di persone, genitori dell'oggi e del domani, per presentare un progetto pedagogico in seno all'Associazione culturale "Nuova Pentecoste" di Medolago (BG), di cui sono socia fondatrice. Il progetto è piccolo, accoglie un numero limitato di bambini e ragazzi durante le riunioni della domenica mattina. Io però sono una visionaria e vedo già spazi nuovi, con un'accoglienza ampia e un lavoro educativo che abbracci la partecipazione di genitori, nonni, educatori, artigiani (e chi più ne ha più ne metta), cittadini della comunità più allargata, sette giorni su sette. Perché è così, la pedagogia deve contagiare tutti. E al centro devono starci bambini e ragazzi. In merito a questo ci vediamo martedì prossimo alle 20.30 per continuare a parlarne (pensavo di finire prestissimo, invece c'è bisogno di  un altro incontro: la passione non si può fermare!).

Sono rimasta colpita dalla frustrazione di alcuni nel rendersi conto degli errori fatti nell'educazione dei propri figli. Purtroppo esigenze di vita, realtà quotidiane, stress, difficoltà relazionali in famiglia sono situazioni che spesso impediscono la possibilità di mettere in atto strategie adeguate per una crescita libera dei bambini, capace cioè di liberare il loro potenziale e riconoscere e utilizzare i propri talenti.
Tali carenze sono sicuramente colmate dall'amore reale di questi genitori per i figli, ma porteranno probabilmente ad alcune conseguenze che sarà poi loro dovere gestire.
Ad ogni modo le difficoltà non devono essere atrofizzanti, devono essere nodi che impongono messe in discussione e ricerca di nuove strategie. E' questo il bello del dialogo, del confronto in ambito pedagogico: si scoprono risorse, di pensa da nuove prospettive, si ragiona su alternative valide.  

Dal canto mio, dopo dieci anni nella scuola dell'infanzia, nei nidi e spazi gioco e una visitina molto breve come supplente in una scuola primaria, non posso che portare avanti la mia missione di destrutturazione totale degli schemi mentali dei genitori, convinti che nel delegare la responsabilità ad insegnanti ed educatori stiano facendo sempre la scelta giusta. La missione di rompere gli schemi dell'educazione frontale, impositiva e nozionistica che spesso è l'unica conosciuta dagli adulti. 

Il lavoro del genitore è un lavoro difficile, molto difficile (ne sono così consapevole che all'alba dei miei trentun anni non ho ancora voluto averne), ma in questo travagliato percorso di scelte quotidiane e costante autoeducazione, altro non si desidera che la felicità dei propri bambini e delle proprie bambine. Interrogarsi su questo significa fare in modo che ogni gesto quotidiano possa acquisire un senso volto a tale obiettivo, significa spesso abnegazione e sacrificio, significa riconoscere il bambino come essere bisognoso di guida e di fiducia. 
La solitudine attuale e, ammettiamolo, spesso la pigrizia o la sensazione di avere tutte le competenze necessarie per educare, porta molti genitori a trovarsi chiusi nelle quattro mura di casa nella gestione di schemi educativi e familiari. Le semantiche familiari restano sempre le stesse e si perpetuano all'interno del nucleo familiare, mai messe in discussione da figure esterne, nemmeno dagli insegnanti che, spesso frustrati, tendono a portare avanti il proprio lavoro alla giornata, in un'ottica di sopravvivenza.
Ma se per primi insegnanti ed educatori non sono sognatori, visionari in grado di vedere speranza nel futuro, di leggere nel cuore dei bambini l'unicità di ciascuno di essi, come potrà davvero svilupparsi un senso di felicità diffuso, un pensiero di pace in seno alla società?
Per questo è bello discutere di pedagogia, dirsi le cose per come sono, raccontarsi, esprimere difficoltà e disagi, mettere a frutto creatività, giocosità, immaginazione. Per questo è bello che i genitori possano incontrare gli educatori e incontrarsi tra loro, che possano guardare ai propri errori  non in maniera frustrante, ma come risorse per un cambiamento. Per questo è una gioia immensa per me condividere delle riflessioni, e per questo amo molto l'idea delle scuole parentali (trovate info qui); per tali motivi desidero che momenti simili si moltiplichino. E' l'inizio dell'autoeducazione, l'inizio di una riforma. La scuola per come la conosciamo non ha più senso, il modo di vivere la quotidianità per come lo conosciamo dimentica spesso la felicità dei bambini. Dirselo è il primo passo per cambiare. Bisogna avere il coraggio di andare contro corrente, bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di lottare contro quella parte di noi stessi che rifiuta la fatica, di cambiare direzione. Se avremo questa forza, potremo davvero essere FELICI INSIEME.

venerdì 22 aprile 2016

Una vita piena. Educazione e sacralità.

Ti è mai capitato di sentire dentro quel senso di completa soddisfazione mentre stai svolgendo le tue normali faccende quotidiane o il tuo lavoro?
I bambini possono vivere questo stato di benessere "radicale" e radicato in maniera molto semplice e diretta quando hanno la possibilità di giocare in libertà, quando possono stare in mezzo alla natura, quando viene data loro la possibilità di esplorare, conoscere nel fare, osservare il mondo. 
Spesso negli adulti il sentimento di soddisfazione si limita ad un attimo, a qualche breve lasso di tempo legato a qualche singola azione o qualche ricordo o pensiero per poi ripiombare nell'oblio delle incombenze giornaliere, degli stress, della rabbia, dei bisogni non sempre soddisfatti. No, chiaro, non dico sia per tutti così, dico però che sento sempre più persone esprimere la difficoltà, nella frenesia di questi tempi, di sentirsi perfettamente appagati interiormente.

Cosa dunque porta un bambino che così facilmente riesce a trarre soddisfazione intima dalla vita a perdere questa pienezza durante la crescita? Io credo che, crescendo, si perda la capacità di vedere la sacralità della Creazione, di considerare il dono della vita, di abbracciare con stupore le meraviglie del mondo, di riconoscere se stessi con gratitudine e amore. 


Un bimbo è essere tanto corporeo quanto spirituale e lo è nel modo più semplice che possa esistere. Lo è inconsapevolmente come un adulto non può esserlo. Questa inconsapevolezza rende i bambini e le bambine individui intimamente capaci di relazionarsi con il sacro in senso ampio. La figura di Dio, per esempio, è molto più chiara ad un bambino che ad un adulto, seppur non esplicitata e spesso nemmeno esplicitabile. Un adulto, invece, avendo maturato una completa capacità di pensiero razionale e scontrandosi con le responsabilità quotidiane, si trova a non poter più vivere questa dimensione di gratitudine incondizionata e di spiritualità, tanto che ha bisogno di ritrovarla. La deve cercare
Possiamo noi fare in modo che i bimbi e le bimbe non perdano mai tale dimensione? Che ruolo può avere l'educazione in tutto questo? Ebbene, un'educazione che trasmette passione, creatività, talenti, stupore, meraviglia, bellezza (lo dico sempre) è un'educazione che va in questa direzione. Vedere il bambino come un essere trino, costituito da corpo, anima e spirito come componenti non scindibili, rendersi conto che il contatto corporeo con cose ricche di bellezza porta inevitabilmente ad una passione per l'esistenza che si radicherà nel cuore del piccolo o della piccola attraverso le emozioni e i ricordi, è il primo passo verso una pedagogia consapevole e intrisa di responsabilità. 


Or un educatore che non ha recuperato quel senso di sacralità sarà un educatore probabilmente pieno di competenza, ma con un istinto educativo debole, capace addirittura di smorzare la forza interiore dei bambini e delle bambine che educa.


lunedì 18 aprile 2016

Il coraggio di cambiare

È molto strano come siano tantissime le persone che inneggiano ad un cambiamento del sistema, che urlano al bisogno di rivoluzione. Anche per quanto riguarda il sistema educativo. La questione reale è poi quanti abbiano il coraggio di andare oltre ciò che non è usuale e fare scelte fuori dal coro
So che un discorso del genere potrebbe sembrare di poco senso su questo blog, che appare sempre così soft e privo di esaltazione. In realtà io mi sento una rivoluzionaria, in qualche modo. Credo di esserci nata, così, anche se non l'ho capito finché non sono arrivata a vivere alcune situazioni personali che mi hanno fatto comprendere come il mio ruolo in questo mondo abbia un po' a che fare con il cambiamento. La consapevolezza di ciò è il primo passo verso una nuova consapevolezza sociale. È ovvio che qualcosa di grande non può avere luogo per mezzo di una sola persona isolata, ma è fondamentale che ci sia un sentire comune e diffuso. È dunque bello sentire tanti discorsi relativi a nuovi bisogni e nuove risorse, ma la verità è che le parole non sono sufficienti. Le idee non devono restare tali, devono divenire realtà, devono prendere forma concreta. 



È vero, la scuola necessita di una nuova didattica, di nuovi paradigmi, di nuove attenzioni e nuovi sguardi. Ma quanti educatori, insegnanti, genitori, sono pronti ad investire in qualcosa di diverso, a costo di essere bannati dal sistema? Quanti hanno il coraggio di prendere in mano le certezze dell'abitudine per romperle? Non si parla di violenza, si parla di un pacifico esercizio del proprio pensiero ed il proprio sentire. Significa mettere insieme dei modi di sentire comuni per dare vita a concretezze fatte di nuova creatività. Purtroppo tutto questo vuol dire anche forza di volontà e sacrificio. 
Se non ci facciamo delle domande e non iniziamo a pensare all'uomo ed alla donna in modo olistico, prendendo in considerazione il collegamento tra i vari aspetti del funzionamento del sistema "essere umano", valutando l'esistenza nella sua totalità, non potremo mai dare un senso a tutte le criticità a cui ci troviamo di fronte. Non possiamo criticare il sistema senza capire cosa in esso necessiti di essere cambiato. Non possiamo limitarci a dire che ormai le diagnosi di disturbi psicologici o deficit intellettivi nei bambini sono aumentate troppo o che il carico di lavoro che la scuola pone sulle spalle dei bambini è troppo elevato. Non possiamo nemmeno fermarci nel constatare che il bullismo è in aumento, così come la possibilità degli insegnanti di gestire i bambini di oggi, sempre più "difficili". C'è bisogno di qualcosa di più, di un modo di pensare più radicale, che si trasformi in agire. Bisogna osare. Purtroppo non si può fare altrimenti. È un continuo pensare che si deve trasformare in una quotidianità. 
Lo so, continuo a dirlo, ma questo è lo scopo di quello che scrivo. Scrivo (avete letto il libro, per capire cosa intendo?) per dare un input, ma se le mie parole, insieme a quelle di altri, non trovano terreni dove crescere e portare frutto, ebbene saranno solo belle parole prive senso. Non si tratta solo di dire "wow, bello, interessante!", si tratta di volerne far parte perché si sente il bisogno di cambiamento. La paura è sempre un campanello d'allarme, che ci allontana da eventuali rischi, ma quando si crede davvero in qualcosa, nel profondo del cuore, essa non può che essere soltanto uno strumento che porta ad una riflessione in più per continuare più convinti nella direzione intrapresa. Abbiamo il coraggio di cambiare? Abbiamo il coraggio di pensare e agire? Abbiamo il coraggio di fare qualcosa di nuovo e profondo per le generazioni appena arrivate e per quelle future?

lunedì 11 aprile 2016

Autoeducazione: il potere dell'amore

Non ho figli e a volte mi domando se mai io abbia diritto di dire a dei genitori cosa fare o non fare. In realtà, poi, mi rendo conto di come il mio unico desiderio sia quello di dare spunti di riflessione e mai di giudicare i metodi educativi altrui. Lo ammetto, ci sono alcuni modi di fare con i bambini che ho difficoltà a tollerare, ma  al di là di questo, quello che voglio fare è dare input per un pensiero nuovo in una società che ha molte falle. Non ho il potere di correggere tali falle; non è certo un libro o un blog che possono supplire ai bisogni delle persone (ad ogni modo, se il mio libro dovesse interessarvi, trovate tutte le informazioni qui). Quello che bramo, però, è che ogni essere umano abbia l'opportunità di crescere nella felicità interiore. Non ho bacchette magiche perché ciò avvenga, ma credo nel potere spirituale della parola. "Parola" con l'iniziale minuscola e soprattutto "Parola" con la "P" maiuscola. Ho fede per credere che non a nulla valgono i miei sforzi.
Credo nella possibilità di un risveglio sociale generato dal desiderio di ripensare all'educazione e ai bisogni dei più piccoli partendo dall'autoeducazione.



Vogliamo che i bambini e le bambine siano uomini e donne felici, realizzati, pieni di voglia di vivere. Liberi. Ma non possiamo volerlo senza sapere cosa questo significhi. Educare alla libertà vuol dire prima di tutto essere liberi noi stessi. Non possiamo trasmettere ciò che non abbiamo. 

Dovremmo quindi paralizzarci? No, dobbiamo muoverci verso l'integrità e la nostra libertà interiore, emotiva e spirituale, mentre educhiamo. Non possiamo smettere di educare cercando la nostra perfezione, ma non dobbiamo esimerci dall'autoeducarci per andare nella giusta direzione.
Un educatore che non si fa domande è distruttore del bene di chi educa, ma un educatore completamente imperfetto dotato di autocritica e voglia di crescita e cambiamento può essere fonte di ispirazione per molti bambini. E ciò è possibile solo per mezzo dell'amore.

Dire di amare i propri figli vuol dire essere consapevoli di quale esempio vogliamo essere per loro. Questo comporta uno sforzo immenso nel considerare come ogni nostro singolo gesto quotidiano sia strumento di passaggio di un flusso di informazioni emotive e spirituali grandissimo. Ogni piccola decisione è dotata di valore. Ogni volta che deleghiamo ad un imprecisato domani o ad altri stiamo creando una falla nella costruzione del benessere interiore dei nostri bambini o bambine.
Anche quando un genitore sceglie una scuola o un luogo educativo, egli non deve credere di star delegando, ma deve vivere questo affido temporaneo come una presa di responsabilità fatta di partecipazione e fiducia. Genitori ed educatori/insegnanti devono avere un sentire comune e andare nella medesima direzione. Devono essere in qualche modo presenti con la propria anima anche quando fisicamente non ci sono. Ecco allora che non si sta demandando o scaricando dei compiti, ma si sta faticosamente lavorando in accordo interiore per una felicità diffusa. Questo è il potere dell'amore.

mercoledì 16 marzo 2016

Eredità

In questi giorni, anche in relazione a confronti informali con alcuni genitori, ho avuto necessità interiore di riflettere su cosa significhi avere un figlio.
Credo che mettere al mondo un altro essere vivente sia per prima cosa trasmettere un'eredità. Tale eredità è non solo materiale, ma anche fortemente spirituale ed emotiva. Il forte valore morale di questo messaggio è dato dal fatto che moltissimo di ciò che noi siamo e tutte le nostre attitudini di vita vanno ad influenzare in maniera non lineare, ma molto forte, ciò che i nostri figli sono e saranno.
Ciò non significa affatto che i figli dovranno essere la copia dei genitori, anzi è un grosso errore desiderare che sia così piuttosto che educare alla libertà di espressione delle proprie qualità e particolarità (quante volte ho parlato di talenti?). Ma negare questa ereditarietà significa non prendersi la responsabilità di ciò che si è e si fa e lasciare che l'educazione sia solo un dedicarsi alle circostanze del momento e alla risoluzione dei problemi contingenti della quotidianità. 

La realtà interiore di un genitore si esprime nelle sue prospettive educative e nel suo fare di tutti i giorni. Un genitore che vuole crescere un bambino o una bambina che sia un uomo o una donna felice, deve necessariamente sperimentare tale piena felicità affinché per il figlio o la figlia la vita ne sia realmente intrisa. Può dirsi la stessa cosa della libertà: essere persone interiormente libere può formare persone libere
Se mamma e papà (e anche educatori o maestri) non si rendono conto di quanto gli adulti trasmettano al nascituro dal momento in cui viene alla luce, non potranno mai educarlo (e accompagnarlo) alla realizzazione di se stesso. Il modo in cui si muoveranno sarà limitato al presente e non sarà in grado di analizzare le componenti reali e profonde degli avvenimenti e di progettare una linea di conduzione che sia coerente e sensata per il proprio bambino o la propria bambina. Questo non vuol dire essere sempre e solo proiettati nel futuro e men che meno nelle proprie aspettative (seppur debbano essere ben chiare davanti a sé) quanto valutare nel qui e nell'ora come il proprio passato, il proprio vissuto e soprattutto il proprio essere attuale sia fortemente legato all'essere del bambino.


In tutto questo, però, c'è di più: il legame non è solo dato dal fare, ma da quella legge fortemente spirituale che regola l'esistenza tale per cui le generazioni sono inevitabilmente legate da un filo che le avvicina. Non si tratta solo di genetica o sistemica familiare, quanto di un più profondo legame che si riconosce in eventi, configurazioni, realtà che si ripetono. È assolutamente possibile rompere tali fili quando essi vengono prima riconosciuti e poi rifiutati. Ma ciò può avere valenza positiva in relazione a doti, qualità, espressioni umane intrise di bellezza. Tale condizione è perfettamente espressa nelle benedizioni di Dio fino alla millesima generazione, come la Bibbia ci racconta. 

Riconoscere questi legami, vedere questa ereditarietà è un senso di responsabilità enorme ed una presa di coscienza notevole, che comporta una profonda autoanalisi e analisi familiare e generazionale. Decidere di non prendere in considerazione cosa i nostri figli ereditano, nel bene e nel male, è decidere di non permettere loro di realizzarsi fino in fondo.

lunedì 7 marzo 2016

Iris Grace, un esempio per parlare di essenza

Probabilmente avrete già sentito parlare di Iris Grace, la bambina affetta da autismo, che ha trovato la sua espressione nella pittura, con risultati davvero straordinari, grazie anche alla vicinanza della sua gatta Thula, che la ama incondizionatamente e non la lascia mai da sola. 
Ho amato la sensibilità di questa piccina dal primo articolo che ho letto su di lei, forse perché nei suoi quadri ho ritrovato un po' di me stessa o probabilmente per il fatto che ho trovato incredibile il suo talento. 
Sono una che ama i talenti, in generale, e mi commuovo ancora di più alla vista di genitori che sanno riconoscere le unicità dei propri figli e non solo rispettarle, ma anche accoglierle e permetter loro di metterle a frutto al massimo delle proprie possibilità. Ma ho già parlato di questo (qui). Ad ogni modo i genitori di Iris riescono con grande gentilezza e delicatezza a rendere nelle immagini lo splendore di questa arte o a scegliere qualcuno che sappia farlo con discrezione e sensibilità. Vi consiglio di andare nel sito dedicato a Iris Grace, troverete tanti motivi per i quali stupirvi (e, lo dico sempre, lo stupore fa parte della felicità!). E lasciatevi "suggestionare" a lungo, potreste ritrovare un po' di voi stessi!








In questi giorni riflettevo piuttosto sulla bellezza insita nell'uomo, pur quanto in realtà il genere umano sia oggi dominato da tanti brutti sentimenti e desideri, quali l'avarizia, la noncuranza, la violenza, l'invidia e chi più ne ha più ne metta, tanto da distruggere la Terra... 
Eppure se andassimo davvero all'essenza dell'essere di ciascuno, per come è stato creato e per lo scopo reale e nello stesso tempo divino che è proprio della sua vita, scopriremmo qualcosa di straordinario che probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato. 
Credo che il basamento della vera felicità sia centrato esattamente su questa scoperta. 
Voglio farvi un esempio in piccolo. E non per vanto personale, anzi, per sottolineare che, quando si lasciano fluire spiritualmente le proprie intuizioni o sensazioni o idee, allora si può arrivare a tirare fuori qualcosa di inaspettato. Ebbene, ieri una persona che stimo mi ha detto che alcune mie riflessioni del blog le sono parse molto profonde e ricche di conoscenza pedagogica. Immediatamente mi sono resa conto di come io non abbia merito in questo, se non quello di lasciare che i miei pensieri creino connessioni e si colleghino alle emozioni. È come una sorta di istinto legato ad un sapere e un essere che mi sono stati dati da quando sono nata. Pur quanto io possa aver studiato e fatto pratica, non potrei mai sostenere alcune argomentazioni senza questo istinto. Il decidere di metterlo a disposizione di altri è per me fonte di fatica, ma anche di estrema gioia, di per sé e soprattutto nel momento in cui esso riesce a divenire spunto per altri. 
Se dunque permettiamo ai bambini e a noi stessi di lasciar fluire il meglio di sé, così come è stato puramente creato, insieme all'amore germoglierà la felicità. In ogni singolo gesto e per mezzo di ogni singolo gesto.



Sei ancora in tempo.